Farmaci: responsabilità dell’impresa farmaceutica in caso “effetti collaterali indesiderati” e relativi oneri di prova (Cassazione civile sez. III, 07/03/2019, n.6587)

La produzione e distribuzione di farmaci è attività soggetta alla speciale disciplina di cui all'articolo 2050 del codice civile che, in tema di esercizio di attività pericolose, prevede che “chiunque cagiona danno ad altri nello svolgimento di un'attività pericolosa, per sua natura o per la natura dei mezzi adoperati, è tenuto al risarcimento, se non prova di avere adottato tutte le misure idonee a evitare il danno”.

La norma in questione si riferisce sia alle attività pericolose tipizzate nel codice civile o in leggi speciali, sia a quelle che siano comunque tali per la loro attitudine a produrre un rischio (cd. attività pericolose atipiche).

La nozione di attività pericolosa, infatti, ai sensi e per gli effetti dell'art. 2050 c.c., non deve essere limitata alle attività tipiche, già qualificate come tali da una norma di legge, ma deve essere estesa a tutte quelle attività che, per la loro stessa natura o per le caratteristiche dei mezzi adoperati, comportino una rilevante possibilità del verificarsi di un danno, dovendosi, di conseguenza accertare in concreto il requisito della pericolosità con valutazione svolta caso per caso, tenendo presente che anche un'attività per natura non pericolosa può diventarlo in ragione delle modalità con cui viene esercitata o dei mezzi impiegati per espletarla.

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Convivenza di fatto e perdita automatica del diritto all'assegno di divorzio: parola alle Sezioni Unite (Cass., Sez. I, Ord. Interlocutoria, 17 dicembre 2020, n. 28995)

L’art. 5, comma 10, Legge n. 898/1970, come è noto, prevede che l'obbligo di corresponsione dell'assegno divorzile cessi qualora il coniuge beneficiario passi a nuove nozze.

Nel caso in esame la ex moglie, con ricorso innanzi la Suprema Corte, lamentava la violazione e falsa applicazione della predetta norma nella parte in cui la Corte d’Appello aveva esteso detta previsione ritenendo che "la semplice convivenza more uxorio con altra persona provochi, senza alcuna valutazione discrezionale del giudice, l'immediata soppressione dell'assegno di divorzile".

Gli Ermellini della Prima Sezione, con la pronuncia in commento, sollecitano le Sezioni Unite della Suprema Corte a rivedere l'orientamento più recentemente espresso e secondo il quale l'instaurazione da parte del coniuge divorziato di una nuova famiglia, ancorché di fatto, sciogliendo ogni connessione con il tenore ed il modello di vita caratterizzanti la pregressa fase di convivenza matrimoniale, determina la decadenza dall'assegno divorzile senza possibilità per giudicante di ponderare i redditi dei coniugi al fine di stabilire, comunque, dell'indicata posta una misura.

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Condominio: parcheggio all'interno del cortile condominiale, configurabile come uso o abuso della cosa comune? (Cass. n. 7618/2019)

In un condominio è configurabile come legittima l’occupazione di parte del cortile comune mediante il parcheggio del proprio veicolo? Puo' esistere un divieto in tal senso? Se si', a quali condizioni?

La risposta ai predetti quesiti e' da ricercarsi nell'ambito della disposizione normativa di cui all'art. 1102 c.c. che, come e' noto, disciplina l'uso della cosa comune.

Secondo l'interpretazione offerta dalla Suprema Corte, l'uso della cosa comune da parte di ciascun condomino è soggetto, ex art. 1102 c.c., al duplice divieto di alterarne la destinazione e di impedire agli altri partecipanti di fare parimenti uso della cosa stessa secondo il loro diritto.

Deve pertanto ritenersi che la condotta del condomino, consistente nella stabile occupazione - mediante il parcheggio per lunghi periodi di tempo della propria autovettura - di una porzione del cortile comune, configuri un abuso, poichè impedisce agli altri condomini di partecipare all'utilizzo dello spazio comune, ostacolandone il libero e pacifico godimento ed alterando l'equilibrio tra le concorrenti ed analoghe facoltà (cfr. Cass. Sez. 2, 24/02/2004, n. 3640).

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Tardiva diagnosi di neoplasia e responsabilità della struttura sanitaria: danno cd. da perdita di chance e onere di prova (Sent. Tribunale Lucca, 14/08/2020, n.733)

Si segnala per eccezionale chiarezza espositiva ed esaustività questa interessante pronuncia di merito del Tribunale di Lucca (Sentenza n. 733 del 14/08/2020 a firma del Giudice Dott. Maria Giulia D'Ettore) che affronta un delicato caso di omessa tempestiva diagnosi di un tumore con esito infausto per il paziente.

Cosa si intende per cd. danno da perdita di chance? Come avviene il riparto dell'onere probatorio?

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Violazione del consenso informato del paziente: danno risarcibile in caso di omessa informazione su un intervento chirurgico (Cass. n. 25875/2020)

La Suprema Corte, con la recente pronuncia in commento (Cassazione civile sez. III, 16/11/2020, n.25875), affronta nuovamente il tema del danno conseguente alla violazione del consenso informato nel caso in cui il paziente non venga correttamente informato circa i rischi relativi ad un intervento chirurgico.

Nell'ipotesi di omessa informazione del paziente è configurabile un danno risarcibile? Occorre dimostrare la cd. medical malpratice? Quali sono gli oneri probatori a carico del danneggiato? 

A tutte queste domande, con estrema chiarezza, risponde la Suprema Corte con la pronuncia in commento.

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La responsabilità del custode della strada in caso di sinistri correlati a barriere laterali mancanti o inadeguate (Cass n. 26527/2020)

Con la recentissima pronuncia in commento (Cassazione civile sez. III, del 20/11/2020, n.26527), la Suprema Corte affronta il tema della custodia esercitata dal proprietario o gestore della strada e la sua eventuale estensione, oltre che alla carreggiata, agli elementi accessori o pertinenze, ivi comprese le eventuali barriere laterali con funzione di contenimento e protezione della sede stradale.

Cosa accade qualora la vittima lamenti un danno derivante dall'assenza o inadeguatezza di barriere stradali? Come deve essere valutata l'eventuale circostanza che alla causazione del sinistro abbia contribuito la condotta colposa dell'utente della strada?

A tali quesiti con estrema chiarezza risponde la Suprema Corte con la pronuncia in commento.

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Protocollo di Sicurezza per Emergenza Sanitaria Covid-19

Ci teniamo ad informare i nostri Assistiti che lo Studio Legale Alberghi si è responsabilmente dotato di apposito Protocollo di Sicurezza a fronte dell’emergenza sanitaria in corso, e quindi che il titolare si è preoccupato di garantire, per quanto più possibile, la sicurezza di chi vi opera e di chi vi accede.

Di seguito il Protocollo di Sicurezza per emergenza Covid-19 adottato, CONTINUA (...)

Quali obblighi sono a carico del datore di lavoro per la tutela della salute dei lavoratori? Gli indumenti di lavoro rientrano tra i dispositivi di protezione individuale? (Cass. n. 5748/2020)

Come e' noto, spetta al datore di lavoro fornire al dipendente adeguati dispositivi di protezione individuale.

La nozione legale di Dispositivi di Protezione Individuale (D.P.I.) non deve essere intesa come limitata alle attrezzature appositamente create e commercializzate per la protezione di specifici rischi alla salute in base a caratteristiche tecniche certificate, ma, in conformità alla giurisprudenza di legittimità, va riferita a qualsiasi attrezzatura, complemento o accessorio che possa in concreto costituire una barriera protettiva, sia pure ridotta o limitata, rispetto a qualsiasi rischio per la salute e la sicurezza del lavoratore, in conformità con l'art. 2087 c.c., norma di chiusura del sistema di prevenzione degli infortuni e malattie professionali, suscettibile di interpretazione estensiva in ragione sia del rilievo costituzionale del diritto alla salute, sia dei principi di correttezza e buona fede, cui deve ispirarsi lo svolgimento del rapporto di lavoro (cfr. Cass. n. 33133/2019).

Nella medesima ottica, con un pronunciamento che assume oggi una particolare attualità, la Suprema Corte ha confermato che il datore di lavoro è tenuto a fornire i suddetti indumenti ai dipendenti e a garantirne l'idoneità a prevenire l'insorgenza e il diffondersi di infezioni, provvedendo al relativo lavaggio, che è indispensabile per mantenere gli indumenti in stato di efficienza e che, pertanto, rientra tra le misure necessarie "per la sicurezza e la salute dei lavoratori", che il datore di lavoro è tenuto ad adottare ai sensi del d.lg. n. 626 del 1994, art. 4, comma 5 e s.m.i. (cfr. Cass. n. 33133/2019).

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Biglietto aereo acquistato on line e ritardo del volo internazionale, a quale giudice rivolgersi per il risarcimento dei danni? (Cass. Sezioni Unite n. 3561/2020)

Le Sezioni Unite civili, a risoluzione del contrasto giurisprudenziale, hanno affermato il seguente principio di diritto: "ai fini della individuazione del giudice avente giurisdizione a conoscere della controversia avente ad oggetto la compensazione pecuniaria per il ritardo nello svolgimento delle operazioni di trasporto aereo, nel senso sopra indicato, subito da acquirenti domiciliati in Italia, anche se il contratto concluso con la compagnia aerea contenga una clausola di proroga della giurisdizione, si applicano quindi i criteri di collegamento indicati dall'art. 33 della Convenzione di Montreal. In particolare, nel caso di specie, la giurisdizione si radica in Italia sia in applicazione del criterio di collegamento del luogo di destinazione del viaggio, sia in applicazione del criterio di collegamento del "luogo ove è sito lo stabilimento del vettore che cura la conclusione del contratto". Tale luogo infatti coincide, nel caso di acquisto on line di biglietti per il trasporto aereo internazionale" (Cass. Sezioni Unite n. 3561 del 13.2.2020).

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Dare del "mafioso" su Facebook è reato? Rientra nel diritto di critica politica? (Cass. Penale 39047/2019)

La sentenza in commento riguarda il caso di un ex-sindaco di un comune siciliano, il quale, criticando il sindaco in carica, addebitava allo stesso un comportamento definito come "imposizione o agire mafioso" nella designazione dei candidati per le elezioni locali, esprimendo tale commento su Facebook.

La Suprema Corte ha ritenuto che l'espressione suddetta integri il delitto di diffamazione, escludendo nel caso di specie l'applicabilità dell'esimente del diritto di critica politica.

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