Diritto civile

Danni da insidia: quando il proprietario della strada risponde dei danni derivanti dalla presenza di fango sulla carreggiata (Sent. n. 89 del 16.2.2021, Tribunale della Spezia)

Trattasi di interessante e articolata pronuncia del Tribunale della Spezia (Giudice Dott. G. Romano), n. 89 del 16.2.2021, ottenuta dal nostro Studio (Avv. J. Alberghi), pubblicata dalla Banca Dati nazionale Dejure-Giuffrè Francis Lefebvre, che ha visto il riconoscimento dei diritti risarcitori di un motociclista, nostro assistito, caduto a causa della presenza (non segnalata) di fanghiglia all'interno di una strada secondaria di proprieta' comunale.

In mancanza di alcuna proposta risarcitoria in sede stragiudiziale, il danneggiato era costretto a procedere con la causa innanzi al Tribunale della Spezia, facendo valere la responsabilità esclusiva, ex art. 2051 c.c. ovvero, in subordine, ex art. 2043 c.c., del Comune convenuto - in qualità di ente proprietario della strada - nella causazione del sinistro de quo; l'attore concludeva per la condanna del medesimo al risarcimento di tutti i danni non patrimoniali subiti per le lesioni alla persona (danno biologico permanente e temporaneo, personalizzazione e quant'altro), nonché dei danni patrimoniali subiti dal veicolo e per le spese di assistenza legale stragiudiziale.

Il Giudice spezzino, con percorso logico-argomentativo chiaro ed esaustivo, ha avuto modo di affermare diversi importanti principi di diritto in materia di responsabilita' civile, ribadendo che "in tema di circolazione stradale é dovere primario dell'ente proprietario della strada (...) garantirne la sicurezza mediante l'adozione delle opere e dei provvedimenti necessari. Ne consegue che sussiste la responsabilità di detto ente in relazione agli eventi lesivi occorsi ai fruitori del tratto stradale da controllare, anche nei casi in cui l'evento lesivo trova origine nella cattiva o omessa manutenzione dei terreni laterali alla strada, ancorché appartenenti a privati, atteso che é comunque obbligo dell'ente verificare che lo stato dei luoghi consenta la circolazione dei veicoli e dei pedoni in totale sicurezza" (cfr. Cass. 23562/2011 e Cass. 15302/2013; v. anche Cass. 22330/2014 e Cass. 6141/2018, per cui "l'ente proprietario di una strada aperta al pubblico transito, benché non abbia la custodia dei fondi privati che la fiancheggiano e, quindi, non sia tenuto alla loro manutenzione, ha l'obbligo di vigilare affinché dagli stessi non sorgano situazioni di pericolo per gli utenti della strada, nonché - ove, invece, esse si verifichino - quello di attivarsi per rimuoverle o farle rimuovere, sicché é in colpa, ai sensi del combinato disposto dell'art. 1176 c.c., comma 2 e art. 2043 c.c., qualora, pur potendosi avvedere con l'ordinaria diligenza della situazione di pericolo, non l'abbia innanzitutto segnalata ai proprietari del fondo, né abbia adottato altri provvedimenti cautelativi, ivi compresa la chiusura della strada alla circolazione").

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Di seguito il testo della sentenza de quo.

(omissis)

"Con atto di citazione notificato in data 23 ottobre 2017 Ma. BE. conveniva in giudizio dinanzi all'intestato Tribunale il Comune di ***, esponendo che in data 20 agosto 2016, alle ore 11 circa, stava percorrendo alla guida del proprio motociclo la Via G., allorquando, giunto nei pressi dell'attività "Triacca", a causa della presenza sulla sede viaria di fango e materiale viscoso in curva, che rendeva la strada pericolosamente scivolosa, perdeva il controllo del mezzo e cadeva rovinosamente a terra, riportando danni al motoveicolo e lesioni personali che rendevano necessarie le immediate cure del Pronto Soccorso dell'Ospedale della Spezia, con postumi quantificati dal proprio perito nella misura dell'11-12%, oltre invalidità temporanea

Ritenuta quindi la responsabilità esclusiva, ex art. 2051 c.c. ovvero, in subordine, ex art. 2043 c.c. del Comune convenuto - in qualità di ente proprietario della strada - nella causazione del sinistro de quo, l'attore concludeva per la condanna del medesimo al risarcimento di tutti i danni non patrimoniali subiti per le lesioni alla persona (danno biologico permanente e temporaneo, personalizzazione e quant'altro), nonché dei danni patrimoniali subiti dal veicolo e per le spese di assistenza legale stragiudiziale.

Il COMUNE di ***, ritualmente intimato, si costituiva in giudizio eccependo preliminarmente la propria carenza di legittimazione passiva e l'inammissibilità della domanda risarcitoria per genericità dell'atto introduttivo.

Nel merito, dichiarava di disconoscere la documentazione ex adverso prodotta ed evidenziava come l'attore fosse l'unico responsabile dei danni lamentati, avendo circolato senza la necessaria cautela in relazione alla sede viaria.

Contestata altresì la quantificazione dei danni, concludeva per il rigetto delle domande avversarie.

La domanda attorea é fondata e meritevole di accoglimento, pur nei limiti che si vanno ad esporre.

Anzitutto, vanno respinte le eccezioni preliminari sollevate dal convenuto.

Quanto all'eccezione di inammissibilità (rectius: nullità) della citazione, risultano sufficientemente delineati, nell'atto introduttivo del giudizio, tanto il petitum quanto la causa petendi dedotti dall'attore, che ha rappresentato la vicenda storica, indicato i danni subiti e la pretesa causa degli stessi, addebitata a responsabilità dell'Ente convenuto.

Sussiste inoltre la legittimazione passiva del Comune, proprietario della strada in cui é avvenuto il sinistro, apparendo priva di rilevanza alcuna la circostanza – valorizzata dalla difesa del resistente – per cui la sostanza fangosa non apparterrebbe al proprio patrimonio mobile.

Ed invero, per costante giurisprudenza, "in tema di circolazione stradale é dovere primario dell'ente proprietario della strada ... garantirne la sicurezza mediante l'adozione delle opere e dei provvedimenti necessari. Ne consegue che sussiste la responsabilità di detto ente in relazione agli eventi lesivi occorsi ai fruitori del tratto stradale da controllare, anche nei casi in cui l'evento lesivo trova origine nella cattiva o omessa manutenzione dei terreni laterali alla strada, ancorché appartenenti a privati, atteso che é comunque obbligo dell'ente verificare che lo stato dei luoghi consenta la circolazione dei veicoli e dei pedoni in totale sicurezza" (cfr. Cass. 23562/2011 e Cass. 15302/2013; v. anche Cass. 22330/2014 e Cass. 6141/2018, per cui "l'ente proprietario di una strada aperta al pubblico transito, benché non abbia la custodia dei fondi privati che la fiancheggiano e, quindi, non sia tenuto alla loro manutenzione, ha l'obbligo di vigilare affinché dagli stessi non sorgano situazioni di pericolo per gli utenti della strada, nonché - ove, invece, esse si verifichino - quello di attivarsi per rimuoverle o farle rimuovere, sicché é in colpa, ai sensi del combinato disposto dell'art. 1176 c.c., comma 2 e art. 2043 c.c., qualora, pur potendosi avvedere con l'ordinaria diligenza della situazione di pericolo, non l'abbia innanzitutto segnalata ai proprietari del fondo, né abbia adottato altri provvedimenti cautelativi, ivi compresa la chiusura della strada alla circolazione").

Ciò posto, si osserva che la responsabilità per i danni cagionati da cose in custodia é oggettivamente configurabile qualora la cosa custodita sia di per sé idonea a sprigionare un'energia o una dinamica interna alla sua struttura, tale da provocare il danno (scoppio di una caldaia, esalazioni venefiche da un manufatto, ecc.). Qualora per contro si tratti di cosa di per sé statica e inerte e richieda che l'agire umano, ed in particolare quello del danneggiato, si unisca al modo di essere della cosa, per la prova del nesso causale occorre dimostrare che lo stato dei luoghi presenti peculiarità tali da renderne potenzialmente dannosa la normale utilizzazione (in questi termini Cass., Sez. 3, Sentenza n. 6306 del 13/03/2013).

E' onere del danneggiato provare il fatto dannoso ed il nesso causale tra la cosa in custodia ed il danno e, ove la prima sia inerte e priva di intrinseca pericolosità, dimostrare, altresì, che lo stato dei luoghi presentava un'obiettiva situazione di pericolosità, tale da rendere molto probabile, se non inevitabile, il verificarsi del secondo, nonché di aver tenuto un comportamento di cautela correlato alla situazione di rischio percepibile con l'ordinaria diligenza, atteso che il caso fortuito può essere integrato anche dal fatto colposo dello stesso danneggiato (così Cass., Sez. 6 - 3, Ordinanza n. 11526 del 11/05/2017).

Nella specie, il danno patito dall'attore é pacifico e comunque provato dalla documentazione medica in atti.

Parimenti provata (e per vero neppure contestata dal convenuto) é la situazione di pericolosità dei luoghi, atteso che la cospicua presenza di fango sulla sede viaria é confermata sia dalle fotografie in atti (all. 2 att.), sia dalle dichiarazioni dei testi escussi, sia, infine, dalla stessa relazione di Polizia Municipale prodotta dal convenuto (nella quale si dà atto che, a seguito di sopralluogo, "é stata accertata la presenza di fango sul manto stradale ... quale consuetudine in caso di piogge").

Quanto al nesso causale tra la cosa in custodia ed il danno, le medesime risultanze delle prove orali svolte consentono di ritenere provata la dinamica del sinistro allegata da parte attrice. In particolare, il teste Ma. AG., che stava percorrendo in auto la medesima strada, ha dichiarato che "il sig. B. era in moto a circa venti metri davanti a me, l'ho visto scivolare con la moto sull'asfalto e cadere a terra. Mi sono fermato a soccorrerlo. Dove é caduto a terra vi era fango e ghiaino, una poltiglia, é un punto dove quando viene giù l'acqua dalla discesa si ferma lì e forma questa poltiglia. E' una zona un po' fatta così, rimane in una curva abbastanza secca e la poltiglia era in centro strada, a centro curva, la strada é poco larga, ci può passare una macchina".

Non si ravvisano ragioni per dubitare dell'attendibilità del predetto teste, soggetto privo di particolari legami con l'attore e che ha casualmente assistito alla caduta, trovandosi a percorrere la medesima strada al momento del sinistro.

D'altronde, lo stato dei luoghi fa sì che non appaiano plausibili, in assenza di diversi ed ulteriori indizi, eventuali dinamiche alternative del sinistro.

Tanto premesso in ordine a danno e nesso causale, venendo all'esame della condotta del danneggiato, deve anzitutto osservarsi che "L'ente proprietario d'una strada aperta al pubblico transito risponde ai sensi dell'art. 2051 cod. civ., per difetto di manutenzione, dei sinistri riconducibili a situazioni di pericolo connesse alla struttura o alle pertinenze della strada stessa, salvo che si accerti la concreta possibilità per l'utente danneggiato di percepire o prevedere con l'ordinaria diligenza la situazione di pericolo. Nel compiere tale ultima valutazione, si dovrà tener conto che quanto più questo é suscettibile di essere previsto e superato attraverso l'adozione di normali cautele da parte del danneggiato, tanto più il comportamento della vittima incide nel dinamismo causale del danno, sino ad interrompere il nesso eziologico tra la condotta attribuibile all'ente e l'evento dannoso" (Cass., sez. 3, sent. n. 23919 del 22/10/2013).

Quanto all'onere della prova, secondo un primo orientamento giurisprudenziale é il medesimo danneggiato a dover provare di aver tenuto un comportamento di cautela correlato alla situazione di rischio percepibile con l'ordinaria diligenza, potendo il caso fortuito essere integrato anche dal fatto colposo dello stesso (cfr. Cass., n. 11526/2017, cit.).

Secondo altre pronunce, invece, all'attore compete solo la dimostrazione del nesso di causalità tra la cosa in custodia ed il danno, mentre al custode spetta l'onere della prova liberatoria del caso fortuito, inteso come fattore che, in base ai principi della regolarità o adeguatezza causale, esclude il nesso eziologico tra cosa e danno, ed é comprensivo della condotta incauta della vittima, che assume rilievo ai fini del concorso di responsabilità ai sensi dell'art. 1227, comma 1, c.c., e deve essere graduata sulla base di un accertamento in ordine alla sua effettiva incidenza causale sull'evento dannoso, che può anche essere esclusiva (cfr. Cass., Sez. 6 - 3, Ordinanza n. 30775 del 22/12/2017; nello stesso senso, v. anche Cass., n. 11802/2016, per cui il danneggiato che agisca per il risarcimento dei danni subiti a causa della sconnessione della pubblica via sulla quale circolava é tenuto alla dimostrazione dell'evento dannoso e del suo rapporto di causalità con la cosa in custodia, non anche dell'imprevedibilità e non evitabilità dell'insidia o del trabocchetto, né della condotta omissiva o commissiva del custode, gravando su quest'ultimo, in ragione dell'inversione dell'onere probatorio che caratterizza la responsabilità ex art. 2051 c.c., la prova di aver adottato tutte le misure idonee a prevenire che il bene demaniale presentasse, per l'utente, una situazione di pericolo occulto, nel cui ambito rientra anche la prevedibilità e visibilità di buche e/o ostacoli).

Ad ogni buon conto, a prescindere dai rispettivi oneri delle parti, si osserva come nella presente fattispecie il convenuto abbia allegato circostanze atte a dimostrare una condotta colposa del danneggiato, sostenendo, in particolare, che la presenza di fango era visibile e che il conducente dei veicolo avrebbe circolato senza la necessaria cautela (specificando, a tale ultimo proposito, che "se la velocità del motoveicolo Ducati fosse stata adeguata al tratto di strada, non rettilineo, la eventuale presenza di fango sulla carreggiata avrebbe determinato un mero sobbalzo del mezzo e non una caduta rovinosa come vorrebbe controparte": v. mem. ex art. 183 n. 1 c.p.c.).

Tali assunti non possono essere condivisi.

Quanto alla visibilità del fango, é vero che dalle fotografie prodotte da parte attrice esso emerge con evidenza.

Nondimeno, deve evidenziarsi che, come dichiarato dal teste AG., "la fanghiglia c'é sempre, quando piove però o é tempo umido si bagna e diventa più scivolosa. Rimane il ghiaino a galla e sembra che sia fermo e sembra asfalto ma sotto c'é la poltiglia".

Pertanto, pur essendo visibile, il fango poteva apparire al conducente del motoveicolo più stabile (e quindi meno scivoloso ed insidioso) di quanto non risultasse effettivamente al momento del transito su di esso.

Inoltre, si consideri che la poltiglia copriva tutta la carreggiata e che (come dichiarato dalla teste RA.) si scivolava anche passando a piedi, avendo il fango una consistenza "tipo sabbie mobili".

Né possono essere ravvisati elementi che connotino una condotta di guida non adeguata con riferimento alla velocità tenuta dall'attore, che doveva necessariamente essere limitata, stante le ridotte dimensioni della strada e la presenza di una curva pronunciata (ben visibile nelle fotografie prodotte).

D'altronde, lo stato dei luoghi (strada scivolosa al semplice passaggio di un pedone) era tale da pregiudicare la tenuta di strada, specie di un veicolo a due ruote, a prescindere dalla velocità dello stesso.

Tutte le circostanze suindicate, unitariamente considerate, inducono ad escludere che il danno fosse evitabile con l'ordinaria diligenza, atteso che non vi era un tratto di strada "pulito" sul quale il motociclista – ponendo la dovuta attenzione – sarebbe potuto transitare, per cui l'attore si é ritrovato senza colpa a dover affrontare una curva stretta completamente ricoperta da una patina di fango spessa e scivolosa, senza nulla poter fare per evitare la caduta.

Non possono poi trarsi elementi a carico del danneggiato dal fatto che il sinistro sia avvenuto su una strada secondaria. Se infatti é vero che, su una strada di campagna quale quella per cui é causa, appare maggiormente prevedibile (rispetto ad una strada cittadina o a grande scorrimento) la presenza di materiali in carreggiata, é altrettanto vero che non ci si può spingere al punto di doversi prefigurare, su una strada asfaltata, la presenza di un tratto completamente ricoperto di fango.

Infine, non risulta che l'evento sia stato determinato da cause repentine, estemporanee ed estrinseche (ovvero da una situazione la quale imponga di qualificare come fortuito il fattore di pericolo, avendo esso esplicato la sua potenzialità offensiva prima che fosse ragionevolmente esigibile l'intervento riparatore dell'ente custode: cfr. (Cass., ord. n. 16295/2019), dal momento che il tratto di strada in questione versava in condizioni critiche da tempo (come si evince dalla stessa relazione di Polizia Municipale in atti, che indica la presenza del fango "quale consuetudine in caso di piogge").

In analoga fattispecie, la Suprema Corte ha confermato la decisione con cui il giudice di merito aveva statuito la responsabilità dell'ente per i danni derivati dal mancato intervento manutentivo diretto alla rimozione, dalla sede stradale, del fango e dei detriti trasportati da piogge torrenziali, la presenza dei quali, dopo tali precipitazioni, rappresentava fattore di rischio conosciuto o conoscibile (v. Cass., sent. n. 21508/2011).

Pertanto, avendo l'attore dato prova dell'evento dannoso e del nesso di causalità tra la cosa in custodia ed il danno e non essendo emersa una condotta di guida non diligente dell'infortunato, né ulteriori circostanze che consentano di ritenere che la situazione di possibile danno potesse essere prevista e superata attraverso l'adozione da parte del danneggiato delle cautele normalmente attese e prevedibili in rapporto alle circostanze, va ritenuta provata, in punto an debeatur, l'esclusiva responsabilità nella causazione del danno ex art. 2051 c.c. del Comune convenuto, il quale non ha fornito la prova liberatoria di avere adottato misure idonee a prevenire la situazione di pericolo.

In ordine alla quantificazione del danno biologico, é stata esperita in corso di causa CTU medico legale, all'esito della quale il perito, dopo avere escluso l'esistenza di pregresse patologie rilevanti (genericamente indicate dal convenuto), ha concluso valutando la sussistenza di postumi permanenti residuati all'infortunio in misura pari all'8%, con un'invalidità temporanea totale pari a 3 giorni e parziale pari a 97 giorni, di cui 15 giorni al 75%, 30 giorni al 50% e 52 giorni al 25%.

Non si ravvisano vizi nella CTU, le cui conclusioni, condivise dai consulenti di parte, possono essere acquisite, con riconoscimento del danno biologico da invalidità temporanea e permanente nelle misure individuate dal perito.

Il danno non patrimoniale risarcibile viene quindi calcolato facendo applicazione delle tabelle allegate all'art. 139 Cod. Ass.ni, atteso che, come già ritenuto da questo Tribunale (cfr. sent. 3.3.2015 in causa RG n. 1529/2011 e successive conformi), l'applicazione generalizzata delle tabelle per le c.d. micropermanenti, dunque a prescindere dalla data del sinistro ed anche al danno non patrimoniale derivante da evento diverso dal sinistro stradale o dalla responsabilità medica, é conforme ad una interpretazione costituzionalmente orientata dell'art. 139 Cod. Ass.ni. Non é infatti ragionevole sostenere che a parità di danno alla persona – ma derivante in un caso da sinistro stradale o responsabilità medica e nell'altro da fatti illeciti lesivi di diversa origine e natura, ovvero occorsi in diversi frangenti temporali – vi possa essere una diversa quantificazione e liquidazione del danno, dovendo prevalere la tutela del diritto alla salute, anche alla luce dell'art. 3 Cost., rispetto ad ogni eventuale altra finalità perseguita dal legislatore. Non si vede pertanto come, in tema di liquidazione equitativa del danno non patrimoniale, possa sussistere ancora una difformità di trattamento per danni derivanti dalle medesime lesioni, pur determinate da cause ovvero in momenti diversi, in presenza di legge che ne disciplina il risarcimento.

Applicate dunque le tabelle allegate all'art. 139 Cod. Ass.ni (attualizzate ad aprile 2019), il danno non patrimoniale é calcolato come segue:

- il danno da invalidità permanente, tenuto conto dell'età del danneggiato alla data del sinistro (57 anni) e della percentuale di invalidità permanente riconosciuta (l'8%), é quantificato nella somma di Euro 10.465,00;

- il danno biologico temporaneo, in considerazione dell'inabilità temporanea come sopra individuata, é quantificato nella somma di Euro 2.006,45 (di cui Euro 142,47 per invalidità temporanea assoluta, Euro 534,26 per invalidità temporanea parziale al 75%, Euro 712,35 per invalidità temporanea parziale al 50% ed Euro 617,37 per invalidità temporanea parziale al 25%);

e così per complessivi Euro 12.471,45.

Tale somma é da ritenere integralmente satisfattiva del danno non patrimoniale patito dall'attore. Non può infatti trovare accoglimento la domanda volta all'autonoma personalizzazione del danno, non risultando allegate (se non in forma estremamente generica) circostanze dalle quali evincere la sussistenza dei presupposti che, in forza dell'art. 139, comma 3, cod. ass., consentono al Giudice di aumentare la somma risultante dall'applicazione delle tabelle (ossia che la menomazione accertata avesse inciso in maniera rilevante su specifici aspetti dinamico-relazionali personali, ovvero avesse causato una sofferenza psico-fisica di particolare intensità).

All'importo accertato a titolo di danno non patrimoniale va infine aggiunto il danno patrimoniale, pari alle spese necessarie per la riparazione del motoveicolo danneggiato.

A tale proposito, tenuto conto dei danni emergenti dalle fotografie in atti, appaiono congrui gli importi (pari a complessivi Euro 2.253,09) di cui al preventivo in atti, confermato in sede di istruttoria testimoniale dal titolare dell'officina presso la quale é stato condotto il mezzo.

D'altronde, l'assunto della resistente per cui il mezzo avrebbe un valore di mercato di Euro 500,00 appare immotivato ed inverosimile, considerato che il prezzo di acquisto all'usato del modello in questione (Ducati Hypermotard 1100 immatricolato nel 2009) ammonta, ad oggi (dunque a quasi quattro anni dal momento del sinistro), ad un importo che si aggira intorno ad Euro 5.000,00, come si può agevolmente verificare in rete.

Non può invece essere riconosciuto il rimborso delle spese asseritamente sostenute per la gestione stragiudiziale del sinistro, in assenza di prova del relativo esborso e considerato, in ogni caso, che la giurisprudenza richiamata dall'attore attiene ad ipotesi di indennizzo diretto per il risarcimento del danno da circolazione stradale, mentre nella presente fattispecie, non avendo il danneggiato azione diretta nei confronti dell'assicurazione, non si rendeva necessaria la preventiva interlocuzione con il liquidatore (relativa al diverso rapporto tra assicurato ed assicuratore).

Il danno complessivamente patito da parte attrice ammonta pertanto ad Euro 14.724,54, di cui Euro 12.471,45 a titolo di danno non patrimoniale ed Euro 2.253,09 a titolo di danno patrimoniale.

In ordine agli accessori, sulle somme dovute a titolo di risarcimento del danno non patrimoniale devono essere riconosciuti, in applicazione del principio stabilito da Cassazione civile, Sezioni Unite, 17 febbraio 1995 n. 1712, sia la rivalutazione monetaria che gli interessi – dal giorno dell'illecito fino alla data della presente pronuncia – quale corrispettivo del mancato tempestivo godimento, da parte del danneggiato, dell'equivalente pecuniario del debito di valore. Ed invero, la corresponsione degli interessi costituisce uno dei criteri di liquidazione del predetto lucro cessante, la cui sussistenza può ritenersi provata alla stregua anche di presunzioni semplici e il cui ammontare può essere determinato secondo un equo apprezzamento. Pertanto, alla stregua dei principi affermati con la sentenza citata, la somma precedentemente indicata a titolo di danno non patrimoniale - calcolata alla data di aprile 2019 (data del più recente aggiornamento delle tabelle allegate all'art. 139 Cod. Ass.ni) - deve essere devalutata alla data dell'illecito (cd. aestimatio). Sulle somma così calcolata e via via rivalutata annualmente secondo gli indici ISTAT devono quindi essere applicati gli interessi al tasso legale. Su tale importo, in quanto convertito con la liquidazione in credito di valuta, spettano gli interessi legali dalla data di pubblicazione della sentenza al saldo.

Sul danno patrimoniale spettano invece interessi e rivalutazione calcolati dai singoli esborsi e sino al saldo.

Le spese di lite seguono la soccombenza del convenuto e sono liquidate come da dispositivo, tenuto conto della natura e del valore della causa (avuto riguardo alla somma attribuita alla parte vincitrice, ex art. 5, comma 1, D.M. n. 55/2014), con applicazione dei parametri medi di liquidazione di cui al D.M. n. 55 cit.. Tra gli esborsi di parte attrice vanno ricomprese le spese per la propria consulenza di parte (cfr. Cass. 84/2013 e 4357/2003), nella misura congrua di Euro 350,00.

Le spese di CTU, separatamente liquidate, sono definitivamente poste, nei rapporti tra le parti, a carico del convenuto.

PQM
P.Q.M.

Il Tribunale, definitivamente pronunciando:

1) accerta e dichiara la responsabilità ex art. 2051 c.c. del Comune convenuto nella causazione del sinistro occorso in data 20 agosto 2016;

2) per l'effetto, dichiara tenuto e condanna il Comune di *** al risarcimento in favore dell'attore dei danni patiti da quest'ultimo in conseguenza del predetto sinistro, quantificati in capitali Euro 14.724,54, oltre interessi sul capitale devalutato fino alla data del sinistro e via via rivalutato sulla somma riconosciuta a titolo di danno non patrimoniale ed oltre interessi e rivalutazione dai singoli esborsi e fino al saldo sulla somma riconosciuta a titolo di danno patrimoniale;

3) condanna il convenuto a rifondere l'attore delle spese di lite, che liquida in Euro 895,00 per esborsi ed Euro 4.835,00 per onorari, oltre spese generali, IVA e CPA;

4) pone le spese di CTU nei rapporti tra le parti a carico del convenuto.

La Spezia, 16 febbraio 2021"

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Avv. Jacopo Alberghi